“Le immagini, i simboli, i miti non sono creazioni irresponsabili della psiche; rispondono a una necessità e adempiono una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere.” (Mircea Eliade)
Margareth Dorigatti è un’artista bolzanese trapiantata a Roma, dove insegna. La mostra DEI Colori/Giorni alla galleria MAC, in via di Monserrato 30, è stata inaugurata il 25 gennaio e la data ultima per visitarla ricade al sabato dopo le elezioni, il 10 marzo.
Il lavoro espone l’ultima ricerca della Dorigatti sulla corrispondenza tra i pianeti del sistema solare, le divinità e i miti, i metalli, i giorni della settimana e i colori.
I corpi celesti avevano, in antichità, una grande importanza, non solo per la loro influenza sui processi alchemici, ma anche per il parallelismo che li legava agli elementi naturali, in base al principio dell’uguaglianza di alcuni loro aspetti in una interconnessione tra le sue parti, il microcosmo dell’individuo connesso al macrocosmo dell’universo, secondo cui «ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto».
Il lavoro è stato a lungo studiato, nel corso d’opera, dall’artista, non solo nell’apprendimento delle corrispondenze alchemiche, ma soprattutto nella preparazione dei colori, ottenuti dalla lavorazione dei metalli stessi, apportati poi sulla superficie delle opere.
Margareth lavora infatti per sovrapposizioni di metallo e colore, ottenuto per ossidazione o lasciato puro, una pittura totale che si nutre di se stessa; simili a stratificazioni geologiche i suoi lavori ridanno il senso della stratificazione ideologica indagata. I rimandi filosofici ermetici, con la loro simbologia, evocano nello spettatore, oltre che un’ispirazione concettuale, un rimando materico di queste energie, di queste strutture. Questa è stata la sfida inseguita da Margareth: riuscire a rievocare un sapere per trasmetterlo in termini di sensazioni evocative.
Per farvi un esempio, sulla parete di destra, la prima opera che incontriamo, nella galleria, è il pianeta associato al dio dell’agricoltura degli antichi romani, provvisto d’una enorme falce stilizzata (♄) divenuta il suo simbolo: è Saturno(un pianeta senza superficie solida, gassoso, l’ultimo visibile a occhio nudo, il sesto del sistema solare e il secondo più grande, dopo Giove), è il dio delle messe, del lavoro sodo per una vita migliore e quindi della rigenerazione e del tempo, per i greci infatti era Cronos.
Nell’antica Roma, dal 17 al 23 dicembre, si festeggiavano i Saturnalia, giorni dedicati al dio Saturnus, in cui si riviveva la mitica Età dell’Oro dell’umanità, età in cui, sotto il suo governo, tutti gli uomini erano uguali. Le feste rievocavano un tempo prospero con grandi banchetti e sacrifici; riconducendo il periodo alla fine dell’anno si dava buon augurio ad avviare l’anno che stava per iniziare con Ianuarius (gennaio), in un periodo molto importante dell’anno: quello dell’equinozio d’inverno, a ridosso del Natale.
La natura in questo mese sembra rinchiudersi in se stessa, nel proprio rigore invernale e predisporre alle dovizie per il letargo. Saturno infatti è associato alla privazione, alla perseveranza, alla logica, alla serietà, al duro lavoro, alla vecchiaia, le responsabilità dell’individuo e il suo rapportarsi con equilibrio al mondo esterno ma anche alle ricchezze che lo attendono in futuro.
Gennaio, nell’astrologia occidentale, è il mese del Capricorno, segno governato da Saturno, perché quando questo si volle mangiare suo figlio, Giove, si racconta nel mito, fu salvato da alcune Ninfe che lo allattarono al seno della capra Amaltea. Saturno cercò di catturare così la capra, ma Giove glielo impedì, trasformandola in una costellazione. Associato a Saturno vi è il Piombo, simbolicamente il processo di morte e di trasformazione. Si tratta di un metallo tossico, le cui impurità rappresentano le imperfezioni dell’animo umano. La sua combustione indica un processo metaforico di pulizia e purificazione. L’avvelenamento da piombo è detto infatti saturnismo. E il giorno associato è il sabato, l’ultimo giorno di lavoro prima del riposo.
Conoscere il mito e saperlo collegare agli studi astronomici o alchemici degli antichi e rivivere quelle sensazioni, quelle immagini in opere realizzate appositamente, è una sensazione appagante di pace e di estasi: non ha paragoni lo scoprire d’una sensazione una sua rappresentazione.
L’incanto e il piacere – sto immaginando – di leggere e studiare storie eterne della nostra civiltà, in una piccola stanza, con il camino acceso, dalle pareti ricoperte dai dorsi dei libri esposti sugli scaffali, in legno di quercia e una scrivania in mogano, con una poltrona antica e poi alzare lo sguardo dalle pagine, per riflettere o riposare gli occhi, e vedere le opere di Margareth che cercano di farti vivere quei racconti e quegli studi degli antichi, che stavi leggendo, credo sia uno dei motivi per cui esiste l’arte e la sua fruizione, che in essa si completa.
L’arte è una forma di comunicazione, communicare viene dal composto latino cum insieme e munis ufficio, incarico; un dovere che abbiamo da compiere con gli altri.
E cos’è l’arte se non questo donare questa funzione, ‘mettere in comune’ da parte di un soggetto una sua proprietà, privilegio, conoscenza, perché diventi dote anche di altri!?!
Margareth Dorigatti allora ci ha lasciato qualcosa, frutto delle sue ricerche, in cui di fronte ci si può lasciar andare e non è qualcosa da imparare ma da lasciarsi suggestionare tramite l’emozione, l’evocazione.
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