Juliet Jacques per la prima volta a Roma da Londra è stata ospite ieri ad AlbumArte con Nero, come media partnership, magazine di cultura contemporanea e l'istituto di ricerca inglese British School at Rome, the BSR; all'incontro, che ha compreso lettura, performance e visione del corto You Will Be Free (2017) è seguito un dibattito con gli ospiti e il pubblico; l'evento è stato curato e organizzato da Manuela Pacella, curatrice indipendente e condotto con Daniele Cassandro, giornalista di Internazionale.
Già stare innanzi una donna è come imbottirsi di vino a stomaco vuoto. Traballano un po' gli occhi, sembri una pietra con all'interno un luna park ma si ha una sensazione di riposo. Ora, che succede però, Juliet Jacques, scrittrice, giornalista e filmmaker britannica, non è proprio proprio una donna, si pensa, guardandola bene. Non vale, inizi a congetturare. Ci arrivi dopo. Una manciata di secondi. Una post...riflessione - è una donna, anzi è sempre stata una donna ma in un corpo da uomo, che con il tempo ha reso coerente al proprio essere. Il terzo sesso.
In Italia il terzo sesso non esiste giuridicamente ma secondo la legge 14 aprile 1982 n. 164 si può cambiare sesso: per ottenere il cambio giuridico dei dati anagrafici, nel caso il medico non lo ritenga necessario, l'intervento chirurgico è superfluo; in pratica però, con l'applicazione della legge, si è sempre ritenuto l'intervento chirurgico obbligatorio.
Juliet dagli occhi dolci, profondi, timidi e azzurri un'artista impegnata che non tralascia riflessioni critiche e politiche ha letto dei brani del suo secondo libro Trans: a memoir del 2015, un'autobiografia in cui racconta la sua esperienza di transizione per comunicare il senso di disagio con gli altri; una scrittura sperimentale ma semplice, comprensibile, empatica e diretta, che alterna tre registi: osservazioni in prima persona, comuni riflessioni e il modo in cui i media raccontano il tema.
In Italia un transgender ha voce mainstream solo in riferimento a fatti di cronaca nera, prostituzione e tematiche simili. Su The Guardian, Juliet, invece, ha documentato la sua riassegnazione di genere, tenendo una rubrica intitolata A Transgender Journey, quasi un iter confessionale dell'anima; il transitioning (la transizione) infatti non è un evento, bensì un processo di reinterpretazione che dura anche anni e non per forza include la chirurgia ma solitamente un cambiamento emotivo, sociale, d'atteggiamento, psichico.
Il disagio di sentirsi smarriti e in trappola nei confronti di se stessi, in un corpo che non ci appartiene o non corrisponde alla nostra sensibilità ed intimità costringe ad una ricerca oltre che sessuale anche caratteriale. L'esistenza al limite si sublima.
Parlo con etichette, perché sono costretto; quando nacqui non le avevo; vivevo tranquillamente; poi iniziai a sentirmi racchiudere realtà, azioni e concetti con dei nomi: sempre per questa mania di porre delle regole a tutto.
Comunque proseguiamo...
Risulta complicato rapportarsi con il consuetudinario-quotidiano interpersonale, in più, oggi, con la maggiore attenzione posta su realtà che prima si preferiva nascondere o parlarne poco, se non quando, con negligenza, ignoranza e disprezzo, negare; gli argomenti sessuali sono stati minati da un linguaggio sia specifico sia in cerca di definizione standard, vale a dire non è ancora entrato nella vulgata comune e questo rende difficile parlare del tema. Rischia di offendere.
Il linguaggio non comune, perché riguardante tematiche trattate poco, porta al riferimento delle stesse con una terminologia arcaica, superficiale o dozzinale.
D'altra parte il politically correct rischia di inibire, con il suo atteggiamento bacchettone, superbo e di scherno, le persone. Pone un'infinità di paletti all'esprimersi e quindi impedisce la reale comprensione, la quale si raggiunge tramite l'esprimerci.
La realtà è in un rapporto di dialogo con l'esistenza.
La paura di esprimersi impedisce, per sua equivalenza logica, un'inclusione dell'etichetta "trans" nell'aggettivo "normale", quest'ultimo solitamente è affibbiato a ciò che facciamo rientrare in quello che definiamo come "consueto".
Ecco perché un'arte come quella di Juliet Jacques, oltre che aiutare la persona stessa a liberarsi esprimendosi, aiuta la società a definirsi e a capirsi. A prendere le misure.
Un narrare in prima persona crea un vocabolario, dopodiché lo si costruisce con il confronto.
Il linguaggio è come chiunque, in cerca d'identità. Questo succede perché l'essere non è statico ma in divenire. Il linguaggio si sperimenta per trovarsi e definirsi.
Come un'onda sinodale inizialmente vi è un crescente spezzettamento di termini ed etichette per delimitare, riconoscere e comunicare la diversità, se ne rende il mondo consapevole, poi questo bisogno si appiana fino a divenire soverchio, voluttuario, inutile distinguere.
La garanzia della libertà di scegliere è oltre che necessaria, urgente. Oltrepassare il corpo, la materia, la consuetudine, la riva, il confine umano concettuale, a cui non corrispondiamo nella nostra volontà e sentiamo di non appartenere si chiama futuro.
Trasportarci da una dimensione ad un'altra, dove regna la legge fisica del tempo che definisce la materia, questo è il compito di alcuni di noi. Aprire le porte ad altri universi sensoriali, definendo ciò che sarà.
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