Grazie a Valentina Greco e le sue gocce di luna, moon drops, che mi ha invitato, ho potuto fruire di uno spettacolo artistico ricercato e intelligente.
L’atmosfera totalizzante creata dalle danzatrici del ventre e dai musicisti ha saputo ben appagare tutti e cinque i sensi; ad ognuno, una delle sette forme d’arte presenti domenica sera, e ce ne erano ben quattro, è stata dedicata la giusta attenzione…
Alla Casa del Popolo di Torpignattara, in Via Bordoni, a Roma, La carovana d’Oriente è andata in scena mettendo sul palco coreografia teatrale, danza, poesia e musica araba, grazie alla direzione e l’organizzazione di Rita Jasminee Marzia Sahar.
كلام, kalam, le parole trascinavano nell’aria la loro eco; riempiendo con spruzzate di fiori d’arancio e d’allegria le note che le ballerine scalze disegnavano in aria; gesti ancestrali hanno sedotto gli spettatori, come in corti principesche del medio oriente, richiamando gli antichi culti della fertilità, risaltando l’afrodisiaco potere racchiuso nel corpo delle donne. Femminilità, vitalità e sensualità, come gocce d’acqua che gli occhi rapiti attendevano, da tempi immemori non si bagnavano, erano i significati aggiunti alle già appassionate poesie, che sia in italiano che in arabo venivano nel frattempo declamate.
Il pavimento pelvico delle donne ondeggiava come le gondole nel porto di Venezia, al ritmo di habanere lente, erano ponti sospesi sulla geografia del mondo, lontane dalle quotidianità grigie; persi, gli spettatori, in quella distesa di ogive e nervature diagonali muscolari, le gambe nude e forti, come il mare d’inverno, sono riuscite a cadenzare una serata e ad evocare un pieno di fascino, storia e magia.
Grazie al suono delle percussioni della darabouka, dei cimbali, talvolta dall’intervento delle corde dell’oud talaltra dal fiato diffuso del ney, due strumenti di tradizione persiana, sembrava d’essere tornati all’origine del mondo: movimenti eleganti, ampi, dolci e ritmici parlavano di spontaneità, semplicità, allegria, profondità.
Le emozioni sono state tante e armonicamente tenute insieme dalla direzione artistica, gli esercizi di equilibrio con la spada riportavano alla luce le danzatrici tuareg di Tamanrasset, città a sud dell’Algeria, e le Ali di Iside di alcune coreografie star tramando ammalianti riti di preghiera, al fine di promuovere la Bellezza: scopo dell’Arte.
Movimenti veloci che piano piano venivano isolati e in seguito sovrapposti in impercettibili palpeggiamenti dell’aria: layerings che intramezzavano benissimo il ritmo degli strumenti, le torsioni, i movimenti di stacco dei fianchi usati per punteggiare la musica o accettare un battito del cuore ispirato.
L’anca era l’indiscussa protagonista, il primo violino del corpo, e quando, nella mezza luna creata del suo dondolio, si fermava alla fine del suo movimento a mezz’aria, per una frazione di secondo, da languida e leggera come piuma o testa di serpente tentatrice, si trasformava di colpo in irremovibile roccia; sembrava che le note a questa vi si dovessero aggrappare, come naufraghi in mezzo alla tempesta, per non rimaner mute d’innanzi al potere del corpo, come fece Ulisse con le sirene, che ad un palo, per ammirarle, si fece legare. L’anca formava come tanti 8 e infiniti loops, quasi ad indicare la difficoltà per l’arte di racchiudere la complessità di un’emozione.
La contrapposizione, fisica e vibrante, rigida e avvolgente, serviva da slancio, per indurre lo sguardo dello spettatore a seguire le spalle, che in movimenti ascensori, ammiccavano l’incedere sicuro della schiena, baci rubati alle stelle del deserto e dorsi di tori, di amazzoni libere e in sella hanno ballato davanti ai fortunati spettatori.
Dopodiché, si è partecipato tutti, spettatori, musicisti e danzatrici, al lauto banchetto arabo e vegano preparato dalla magistrale cuisine della Pasticceria-Bar-Bistrot Dharma’s Cakes.
Sicuramente è stata un’occasione di incontro e confronto a cui è seguita una riffa con ricchi premi e danze per tutti!
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