Il discorso della migrazione affronta due piani: uno ontologico, l'altro storico e si fa spazio tra una serie di termini giuridici attuali, ma non immutabili.
La situazione oltre i pro e i contro, si riduce al solo quesito: noi come esseri umani teniamo più alla libertà o al diritto di proprietà?
E non è la proprietà che ti rende libero. Perché non è mai il padrone che possiede la cosa, ma è sempre il padrone che è schiavo del bisogno di quella cosa: nell'anima del servo si nasconde l’anima del padrone, scriveva Hegel nel 1807.
Cosa è più importante la libertà o la proprietà? Questa è la domanda di cui la Storia ci chiederà conto. Ogni scelta ha poi delle conseguenze.
Da una parte bisogna ragionare, pensando a cosa sia nella sua generalità la vita dell'uomo e dall'altra dobbiamo ragionare nell'immanente, sulla realtà di oggi:
una è l'attitudine più naturale, libera e ovvia del diritto di ogni essere vivente a muoversi, qualsiasi restrizione andrebbe considerata alla stregua di un attentato alla libertà;
l'altra vede proprio l'immigrazione favorire l'egoismo e la miopia nazionalista, cioè la volontà di ridurre la mondializzazione e rallentare la delocalizzazione, anteponendo i propri cittadini. In che modo?
L'immigrazione, abbattendo il costo di determinata manodopera, oltre che abbassare i costi dei prodotti, potrebbe incentivare parte delle aziende che hanno trasferito le loro sedi, dove il costo di produzione è minore, a rientrare e così creare ulteriore lavoro.
Ora il discorso apre un altro punto: la conformazione dei governi attuali è frutto non di un'imposizione o di un complotto ai danni dei cittadini, ma piuttosto il distillato della cultura nazional-popolare media di uno Stato: la maggioranza dei suoi cittadini all'interno dei suoi confini. Quindi l'autoreferenziale e temuto complotto dei governi a danno dei cittadini, quali vantaggi potrebbero numerare, sarebbero delle società non più in grado di produrre classe politica adeguata e un'opinione pubblica critica e informata.
I confini sono conseguenze storiche di contese tra Stati, disegnati artificialmente, dopo guerre, scambi, conquiste, decisioni, imposizioni, spartizioni ecc. Lo Stato è una forma istituzionale di accordi in divenire. Non è sempre esistito e non esisterà per sempre.
Se la filosofia è l'arte del pensiero, lo Stato è la forma di quello che contiene.
Ecco perché "difendere le nostre coste", "sorvegliare le nostre coste" ecc, non ha senso. Le nostre coste quali sarebbero? La cultura italiana per la quale alcuni si battono, fino a negare la libertà di muoversi e vivere ad un'altra persona, quale sarebbe, come credono che questa si è formata, se non attraverso contaminazioni, integrazioni, convivenze, ispirazioni? Siamo figli di meticci e sangue misto. I ceppi dei nostri avi si perdono tra emigrati, migranti, profughi, schiavi, deportati, esuli, comandanti e pretori.
Pensare che l'uomo debba restare nel suo spazio legale e consentito, è assurdo. Bisognerebbe invece iniziare a rivendicare lo spazio pubblico della terra. Le possibilità di muoversi e interagire saranno sempre più esponenziali. La globalizzazione è il flutto dell'acquisizione di conoscenza, è figlia della tecnologia, la cultura classica moderna; ha ridotto il tempo, lo spazio e le difficoltà economiche del muoversi, ha fatto in modo che i contatti tra culture e popoli fossero sempre più frequenti e ricorrenti. Rimpiangere il passato o metterlo su di un piano morale superiore è inutile, significa nuotare controcorrente, la Storia travolge chiunque lo faccia. Il migrante è quel corpo concettuale che sta ridisegnando il concetto nuovo di cittadinanza.
Pier Paolo Piscopo
Ƹ̴Ӂ̴Ʒ
Bình luận