Ogni pensiero è frutto di un determinato contesto e identità culturale, ogni gruppo di pensieri forma una filosofia, ogni religione è una filosofia, frutto di uno specifico nucleo culturale d'origine.
Dalla diaspora a scopo propagandistico che nei secoli ha contraddistinto le tre più grandi religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo e islamismo) come si riconduce allora la religione nel suo ordine sociale e quindi originario contesto autoctono?
Dal momento che le religioni sono state "delocalizzate" la secolarizzazione le ha scisse dal loro contesto culturale, le ha presentate nei termini di pure religioni, affrancandole dal contesto politico del quale facevano parte ed erano espressione.
Il secolarismo ha prodotto alla fine un ritorno in auge del religioso, perché ha tolto le religioni dalla sfera pubblica e gli ha conferito uno spazio autonomo, creandogli il contesto per espandersi.
Le religioni non sono state più politiche come in origine, quando erano ideologie d'organizzazione sociale delle comunità nelle quali erano nate.
Il sociologo delle religioni Olivier Roy afferma nel suo libro La santa ignoranza che il mito della purezza religiosa dei nuovi fondamentalismi si è andato emancipandosi e costruendosi, nella sua "popolarità", proprio grazie al dislocamento di qualsiasi filosofia religiosa al di fuori delle culture d'appartenenza.
Il revival religioso è legato così alla secolarizzazione proprio perché questa ha destinato alle religioni un ruolo fuori della comunità amministrata dallo Stato; il religioso si è così permesso di astrarsi dai problemi e dinamiche locali reali, per costituirsi nell'ambito del puro e incontaminato ideale.
La tesi di Roy si oppone alla teoria dello scontro di civiltà, dal momento che le civiltà - come affermava il politologo Paul Huntington - non sarebbero più legate ciascuna ad una propria religione e queste non s'incarnino più in una cultura specifica.
Ciò che avviene, afferma Roy, è la disconnessione tra religione e culture; per questo le religioni oggi sono in grado di convertire giovani che appartengono ad altre culture.
Interessante da notare è la concomitanza del radicalizzarsi dei fondamentalismi con il crescere dei flussi migratori, ossia, uomini decontestualizzati dalla loro cultura d'origine.
La classe immigrata vive ai margini della modernità e all'interno, le religioni che crescono, non sono tanto l’Islam, il quale aumento demografico ed i rituali "appariscenti" possono far credere, quanto il pentecostalismo e il mormonismo: queste sono le religioni, il cui numero dei praticanti è aumentato negli ultimi anni, come il numero dei convertiti.
La de-territorializzazione delle persone emigrate in seno alla globalizzazione contribuisce ad un’aspirazione universale, dove il sentirsi parte di un "gruppo" più grande aiuta il processo di adattamento nel nuovo contesto.
Chi attua un’affiliazione o conversione o una radicalizzazione nella stessa religione, sono chiamati born again e non necessariamente sono atti comunitari sotto influenze di propaganda, molte volte, grazie ai nuovi media, sono conversioni individuali non più legate ad una cultura e ad un territorio, perché da essi non si sentono di far parte o da essi si sentono delusi oppure semplicemente non vi risiedono.
Tra gli appartenenti alle religioni deculturate internazionali ci sono più possibilità di sacche di fanatismo, proprio perché non c’è la cultura storica simbolica nazionale a filtrare e mitigare i precetti; i credenti così vi si applicano con uno zelo moltiplicato e fervente, secondo la legge, non scritta, che la salvezza esige la fede non la conoscenza e tanto meno il dubbio sul quale la conoscenza si fonda.
Pier Paolo Piscopo
Ƹ̴Ӂ̴Ʒ
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