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Mauro Andreini, Architetture di Periferia

Aggiornamento: 12 mar 2021



"Per dir forse una nova parola, [occorre] usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte, [come se si agisse] […] senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario il sforzare e, come si dice, tirar per i capegli dà somma disgrazia e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch’ella si sia."

(Baldassarre Castiglione, Il Cortegiano, libro I, cap. XXVI)


Alle volte, senza rendersene conto, facciamo delle esperienze, che arricchiscono il nostro modo di vedere gli argomenti con i quali abbiamo a che fare ogni giorno, grazie all'esperienza di altre "visioni" che in apparenza non hanno niente a che fare con il nostro quotidiano.


Ieri sono stato invitato da Mario Pisani, storico e critico d'architettura, alla conferenza di Mauro Andreini, Architetture di Periferia, parte del ciclo:


"Le conferenze di Valle Giulia 2018. I mestieri dell'architetto. A cura di Alessandra Capuano e Domizia Mandolesi. Introdotta da Renato Partenope, con interventi di Marco Petreschi e Mario Pisani.


Toscano di provincia, Mauro Andreini, evoca un'architettura anonima, un'architettura periferica che va alla ricerca di qualcosa che c'è già.


Un "architetto di provincia" si autodefinisce, che negli anni è intervenuto in quei paesaggi toscani, con una storia antichissima impressa, caratteristici dei piccoli borghi e comuni che costellano la regione, che ogni intervento moderno deve saper riconoscere, senza deturpare.


Lo sguardo dell'architetto si è soffermato allora nelle linee di gronda della capanna, della timida loggia, delle torri a colombaia degli antichi borghi, delle vecchie pievi e delle corti senesi, reinterpretando l'esistente: le pareti a mattoni a facciavista, le casette puntiformi del circostante e le semplici facciate ad intonaco bianco, che trovano la loro eco, nelle case coloniche disperse in quei dolci declivi erbosi delle colline della Val d'Orcia, nei gradevoli e svariati centri di origine medievale, due dei quali molto noti a noi tutti, come Pienza e Montalcino.


Se si volesse cercare un riscontro con l'architettura moderna, potremmo forse trovare un'ispirazione simile nella poetica di Louis Kahn, architetto estone naturalizzato statunitense del '900 che la ricercò nelle forme euclidee dell'architettura neoclassica, in quella greca e in quella romana.





Le chiese, i complessi urbani di trenta, massimo quaranta abitazioni progettati da Mauro Andreini, sono caratteristici di una visione che con il tempo è divenuto stile, una conservazione degli archetipi, fatta di forme geometriche, squadrate o spezzate, con ingressi indipendenti, riproduzioni di chiassi (vicoli ripidi) e aie urbanizzate, con dislivelli del terreno, dove vengono "trovati" gli edifici e i terrazzamenti, nascondendo con riguardo garage e parcheggi di automobili, sempre col fine di non disturbare il paesaggio, con quei gesti inconsulti di quando un architetto si fa prendere la mano, rischiando di "pigiare troppo col lapis"!


Lo schema della Sua architettura è simile e ripetuto, il complesso è formato da un edificio o casa madre centrale e altri elementi che con i loro lotti vi vengono aggrappati, ispirazione presa dal Corridoio Vasariano sopra Ponte Vecchio a Firenze, dove le case degli orafi sembrano "aggrappate" per non cadere in Arno.


Un disegnare liturgico quello di Andreini, ordinato e schematico, richiamante l'organicità di Aldo Rossi, architetto milanese del '900 e che riscopre il ruolo sociale dell'architettura nella civiltà della convivenza, del conoscersi e del parlarsi dalle finestre. Questa architettura è pensata per la coralità dei luoghi che vi si affacciano e per interpretare il proprio tempo - ad esempio si vedano gli interni delle sue chiese - senza negargli altre possibilità d'uso nel futuro, lasciandogli purezza e luce. Sono ambienti puliti, aperti, in cui si respira libertà, sintesi e silenzio.


In un mondo strutturato sul sistema economico, dove i rapporti umani, molte volte, divengono meri rapporti di produzione a scopo di consumo. I due estremi (produzione e consumo) fondano il nostro unico vivere. Tutti i componenti della comunità sono organizzati allo scopo e divengono produttori e consumatori nel medesimo istante ma non tutti sono destinati a entrare nel processo produttivo, dove il lavoro fornisce alla materia la forma della sua ricchezza. L'architetto ha il potere di fornire alle forme del vivere quotidiano, la ricchezza della quotidianità dello scambio, dell'incontro, che favorisca la conoscenza reciproca e non l'isolamento, l'incontro e non la diffidenza.


Un'architettura silenziosa e vernacolare quella di Andreini, essenziale, che cita come spunti colti il Buongoverno del Lorenzetti o la linea di Giotto, un rapporto iconico col Rinascimento senese che sfuma, nelle sue ultime opere, in più esplosioni di colori che fanno dei suoi progetti, delle feste quasi futuristiche e utopiche ma senza mai perdersi nel baccano del cattivo gusto o della pacchianeria, i suoi sono gesti favolistici, dechirichiani, discreti e come deposti da un dio, dalle nuvole, sembrano, da sempre, esserci stati.



Pier Paolo Piscopo


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