Gli Stati Generali e il suo editore Jacopo Tondelli - il quale ringrazio - hanno avuto la premura, l'interesse, l'impellenza e la gentilezza professionale che li contraddistingue, di accettare il mio articolo sulla Francia e la sua situazione interna, che purtroppo in questi anni non sta vivendo il periodo più floreo.
“Ho incontrato per strada un uomo molto povero ed innamorato, portava un vecchio cappello ed un cappotto lacero. L’acqua gli entrava nelle scarpe e le stelle nell'animo: un uomo non è pigro se è assorto nei propri pensieri; esiste un lavoro visibile ed uno invisibile che non mostra.”
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Il mondo è dislocatamente omogeneo: possiamo dire che – semplificando al massimo – da una parte ci sono le risorse e le persone e dall’altra i grandi mercati e le tecnologie.
“Banlieue tra emarginazione e integrazione per una nuova identità” s’inserisce in questo filone, edito da Il Formichiere nel 2018, con prefazione della filosofa Donatella Di Cesare e la postfazione del politico Giuseppe Civati è uno spaccato della società francese, lo fa però da un punto di vista preciso, osservando il fenomeno delle migrazioni.
Da anni mi occupo di flussi migratori e globalizzazione, di movimenti di idee, merci e persone. Il mondo è un insieme di aree economiche, industriali, di produzione e d’assemblaggio diverse; filosoficamente sono come organi di un corpo vivente;
questo corpo per “funzionare” ha bisogno che tali parti siano in connessione tra loro: la linfa che collega e forma questo corpo sono le persone, le merci e le idee;
il movimento crea lo spazio e quello che facciamo in questo “spazio” crea il luogo; il luogo di appartenenza si ritaglia all’interno dello spazio che abitiamo e questo forma, come argilla lavorata con il tempo, le identità e le culture di ogni individuo e popolo.
Era il 2015 quando, lavorando su tali temi e ascoltando al telegiornale le notizie terribili degli attentati che piegarono la Francia in quell’anno e osservando come veniva affrontata e dibattuta invece l’immigrazione da noi, decisi di partire e studiare lo sviluppo di sedimentazione di culture diverse in un Paese che è almeno cento anni avanti a Noi nell’affrontare determinate tematiche. Mi concentrai sui fatti. L’immigrazione esiste? Sì. Ha portato scompigli, difficoltà politiche, paure, diffidenze, problemi, dubbi, insicurezze, complicazioni? Palesemente. Dovremmo porre rimedio ad una situazione che potrebbe degenerare con conseguenze inimmaginabili? Assolutamente.
La Francia presenta il processo di settlement, di insediamento permanente delle migrazioni e alcune delle conseguenze di questi movimenti consolidati da molto tempo.
In esame è un Paese il quale conta 8 milioni d’immigrati e 7 milioni di persone di discendenza immigrata e nelle banlieue, laboratorio perfetto per studiare il fenomeno nonché luogo d’origine di tutti gli attentatori, ci vivono più di 50 etnie differenti. La necessità di scrivere il libro è partita quel giorno. L’importanza per me che ha avuto, che ha rivestito per tre anni, quanto ha occorso per scriverlo, mi ha fatto continuare a crederci e non mollare tutte le volte che sono stato sul punto di farlo. Le difficoltà erano troppe e il periodo più difficile è stato proprio quello della mia permanenza in queste periferie delle periferie.
Volevo conoscere più quartieri possibile, più persone che potevo; ma cambiare registro linguistico a secondo delle persone che avevo davanti non era facile; non potevo rapportarmi ad un ragazzo di vent’anni, come al sindaco del comune nel quale abitava, così mi è occorso un periodo di mimesis. Mi spostavo in autostop e per non essere vincolato da contratti d’affitto che mi imponevano un soggiorno minimo, mi spostavo continuamente di casa in casa solo con CouchSurfing: il sito d’ospitalità online mi ha permesso sia di risparmiare per la ricerca, non ero sovvenzionato da nessuno e non avevo sponsor sia di entrare in posti e luoghi che altrimenti da solo non sarei mai riuscito ad entrare.
La domanda che mi ha spinto a tenere dritta la penna è stata: data una situazione consolidata, ma in evoluzione, come fare ad evitare che succeda quello che è successo in Francia? Come evitare che si creino sacche di malcontento civile che vadano a ledere il benessere sociale ed economico? Quali politiche sono state adottate oltralpe, come è gestita la sicurezza, la religione, la politica che peso e presenza ha all’interno della Republique, l’economia, l’architettura, l’educazione ecc. Che succede all’interno di quei palazzi, come si sono radicalizzati quei ragazzi che hanno scelto d’immolarsi per patrie sconosciute e assumere identitàdiverse da quelle del posto di dove erano nati e nel contempo diverse anche da quelle dei loro genitori?
Ho raccolto interviste, scritto miliardi d’appunti, letto giornali per quasi due anni, poi tornato in Italia, cercando fonti con le quali constatare se quanto avevo annotato e scoperto poteva aver avuto accademicamente riscontro ho buttato giù il manoscritto. Redatto il libro l’ho fatto leggere alla filosofa Donatella di Cesare, che si occupa d’immigrazione e terrorismo da molto tempo e trovando il suo favore me ne ha curato la presentazione; con questo biglietto da visita mi sono presentato all’onorevole Giusppe Civati che si è mostrato anche lui interessato al libro e ne ha curato la postfazione; è stato avvincente, emotivamente e concettualmente, scriverlo..
Il libro è a metà tra un’inchiesta giornalistica e un saggio accademico e lo stile usato è quanto di più sintetico e asciutto potessi fare: come un coltello che oltrepassa il confine del “Io” e viviseziona un “Noi”, apre lo spaccato della società francese di periferia, del ghetto etnico di banlieue; diviso in temi, dove ogni capitolo racconta un aspetto di vita, il libro fa leva su alcuni gangli sociali, istituzionali e culturali e s’inserisce nel dibattito contemporaneo sull’immigrazione nell’Europa contemporanea.
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