Le autorità di Galeria Antica, nell'Agro romano, mi hanno invitato a parlare del Grande Altro e della psicanalisi di Jacques Lacan.
Qui riporto un breve script del testo che ho scelto di inscenare per rappresentare la psicanalisi di Jaques Lacan, secondo una libera interpretazione, le rovine sono un trait d'union perfetto per unire l'immortalità del pensiero, tra le quali la cultura della psicanalisi di Jacques Lacan s'inscena e va in scena e di cui promettono non solo memoria ma spazio fisico dove essere.
Il rifiuto, la ribellione al bisogno si trasforma in scelta per la psicanalisi di Jaques Lacan, vale a dire è un atto morale, una scelta etica, senza la supina risposta al comando del “godi!” imposta da quella società che lo psicanalista francese epiteta come: “la società del godimento”!
Ogni atto o azione è finalizzato a godere afferma. La realtà stessa attuale è basata sullo stimolo della libido e indirizzata alla fruizione di un divertimento, di una gioia, di godere.
Tutto è al fine di mantenere in vita il Grande Altro del capitalismo. Con l'espressione "Grande Altro" Lacan indica un costrutto culturale che teniamo inconsciamente sempre presente quando viviamo, un ordine simbolico che tiene unita la società, la convivenza tra gli uomini.
La società è nata per organizzare la realtà, per non essere spazzati via dall’ignoto, dal buio dell’esistere, dalla disperazione del nulla cosmico, per non farci ricadere nello stato di natura di cui parlava Hobbes e questo costrutto culturale e simbolico ci aiuta, a livello di monito, ad aver presente cosa fare e cosa volere per non crollare.
La realtà non esiste afferma Lacan. Tutta la realtà è inconoscibile precisa. Quello che facciamo non è altro che rapportarla a ciò che conosciamo attraverso un’azione simbolica. Ma quello che conosciamo è già a sua volta un costrutto simbolico che noi ripeschiamo dalla memoria attraverso il ricordo.
Quindi si può dire, secondo la psicanalisi di Jaques Lacan, che ci rapportiamo alla realtà, al tempo presente, attraverso il filtro del ricordo, attraverso il passato e ricostruiamo con i vari costrutti culturali/simbolici che abbiamo nella nostra mente quello che abbiamo davanti.
L’ignoto, la disperazione del vuoto dell’esistenza, altrimenti, ci spazzerebbe via, quindi ci rapportiamo ad esso per integrarlo, farlo nostro, renderlo accessibile, organizzarlo, viverci accanto e dentro e lo facciamo tramite il simbolo.
Il simbolo quindi è un desiderio, una pulsione per conoscere l’Altro da noi stessi e integrarlo al nostro conosciuto, per non morirci accanto. La parola "simbolo" si origina dal greco σύμβολον [symbolon] dal tema del verbo συμβάλλω (symballo) dalle radici σύν «insieme» e βάλλω «gettare», per estensione "mettere insieme" due parti distinte, per significato traslato è un accordo, il simbolo quindi è un "patto" con l'ignoto.
Il desiderio invece da cui nasce l'azione del simbolo è un movimento della volontà verso qualcosa che manca, da cui ci sentiamo estromessi, la realtà, l’Altro e che cerchiamo di ricreare dentro noi stessi. Il termine "desiderio" viene dal latino "DE-SIDERO" «distolgliere gli occhi dalle stelle», da ciò che non si conosce. Gli auguri guardavano le stelle per conoscere il futuro, ciò che non conoscevano. Il desiderio quindi è una pulsione per ricreare dentro di noi, attraverso il ricordo, un'azione sim-bolica, l'ignoto, ciò di cui manchiamo.
Il desiderio si avvale del simbolo, creando il costrutto culturale del Grande Altro. Il desiderio così ha origine dall'assenza di qualcosa che non-conosco.
"CONOSCERE" viene dal greco CO-GNOSCO, rendere a ragione, rendere vicino qualcosa ch’è lontano. Una difesa che mette in campo l'IO alla sua incapacità di star davanti l’ignoto, all'idea idolatrata di se stesso, dinnanzi l’ignoto l'io non si sente completo.
Il Grande Altro quindi è questo universo simbolico di leggi e norme sociali che permettono di essere integrati all’ignoto, all’Altro da se stessi, permettendo la convivenza sociale, il vivere la realtà e questo conta più della realtà immediata, in quanto il simbolo - afferma Lacan - ha più valore conosciuto della cosa stessa che rappresenta, perché è creato da noi e adottato e con questo “metro” ci rapportiamo.
Il Grande Altro così s'interpone come terzo soggetto nelle nostre azioni e nel nostro comportamento, tenendolo sempre in considerazione, come un gigantesco universo che ci giudica.
Cosa sono le leggi, gli ideali politici, continua Lacan, i dogmi religiosi se non simboli, risposte all’ignoto, la necessità di organizzazione di me con l’altro, con la realtà sconosciuta, la quale voglio integrare, per non essere dimenticato?
Ora il Grande Altro non sono solo le leggi o i dogmi delle ideologie, il Grande Altro sono tutti quei piccoli accorgimenti che adottiamo e che teniamo presenti, sedimentati nell’inconscio e che ci permettono di convivere, di relazionarci fuori dalla nostra soggettività, secondo la psicanalisi di Jacques Lacan.
Le ideologie politiche o quelle religiose erano risposte a ciò che non conoscevamo, il grande Altro simbolico che tenevamo presente nel rapportarci e conoscere il mondo, queste ci davano delle proibizioni fuori, ma mantenevano una libertà dentro, la libertà di ricercare l’altro da noi stessi, il paradiso del proletariato, il nirvana, morto Dio e le ideologie, queste sono state sostituite da un altro ordine simbolico, il capitalismo, la promessa di essere liberi, ma le proibizioni che avevamo all’esterno, ora, non sono scomparse ma si sono sedimentate dentro di noi, sono divenute inconscio, un sentirsi in colpa di fronte tutto quello che l’ordine simbolico dell’esistere ci pone davanti.
Lacan passa poi a fare degli esempi. Analizza l’ops, l’intercalare che confessiamo quando abbiamo commesso una gaffe, afferma essere la dimostrazione dell’esistenza di questo mediatore tra soggetti, e continua: le prefiche, le donne che piangono, per dimostrare il dolore per un defunto, le risate preregistrate di alcuni programmi televisivi, la mano davanti quando si starnuta, il prego dopo grazie, non sono altro che dei codici simbolici che teniamo in considerazione per tenere insieme la realtà, per rapportarci all’Altro. Un’apparenza quindi, però, che se la svelo cade a pezzi quella realtà.
Riporta ancora un esempio. Quando usciamo con una persona è chiaro ad entrambi lo scopo di ognuno, eppure ci giungiamo per vie traverse, attraverso delle operazioni simboliche, l’atto stesso della conoscenza è una simbologia culturale per mascherare la realtà, le quali se non le adottassimo non giungeremo allo scopo.
Quindi oggi abbiamo dei forti condizionamenti interni e fuori abbiamo l’imperativo di una ricerca di evasione, libertà fittizia e divertimento, data dalla legge del consumo, che per nostra esistenza stessa come società dobbiamo osservare. Siamo liberi di divertirci, in realtà siamo obbligati a divertirci.
Il consumo si basa infatti sulla promessa di un divertimento e sulla credenza di essere continuamente liberi, tutto dipende esclusivamente da noi e dal nostro libero arbitrio. In realtà non siamo liberi, perché non siamo più alla ricerca della libertà.
L’uomo "liberato" dai dogmi è rimasto senza limiti, ma anche senza libertà, dato che la libertà è tale perché, costretta nel limite, conosceva se stessa. Lacan qui si basa s’un passo dell’Epistola ai Romani di san Paolo quando scriveva: «Senza legge il peccato è morto e io un tempo vivevo senza legge» (Rom 7, 8-9). “La Legge mi ha fatto conoscere il peccato e ora ho desiderio di morte” continua San Paolo.
Oggi non siamo più alla ricerca di nulla. Prima la nostra ricerca era indirizzata alla ricerca di un benessere futuro. Oggi il benessere è posto come garanzia dopo l’acquisto. Non posso aspettare, altrimenti non compro. Il capitalismo non si basa sul raggiungimento di un desiderio d’Altro irraggiungibile, ma sul raggiungimento, quanto più possibile vicino e alla mia portata che mi spinga all’acquisto. E questo bene di consumo deve essere quanto più possibile veloce da acquisire, facile da comprare e nello stesso tempo effimero, veloce da consumare, per far si che io, come dentro una ruota, mi muova all’acquisto di un altro oggetto, di un’altra promessa di divertimento.
Non devo sentirmi soddisfatto e nello stesso tempo devo avere la sensazione che io sia libero di esserlo. Basta che io acquisto. Se non sono felice è colpa mia. Questa promessa continua connessa alla sua delusione producendo un vuoto. Scegliamo il vuoto. Meglio essere vuoti che infelici, mangiati dal buio dell'esistere e divorati.
La vita diviene una continua ricerca di colmare il vuoto, attraverso continue prove effimere che non hanno altro scopo che quello di provocare insoddisfazione. E questa illusione che la felicità si trovi sempre al di là, nella consumazione seguente, senza più gli ostacoli posti dai limiti della religione o della politica, anche il rapporto con le persone subisce lo stesso impatto che abbiamo con le cose. Dobbiamo godere. L’Altro al godimento è soltanto un ostacolo. Si gode solo in solitudine, si gode del consumo di quell’oggetto, di quel rapporto con quella persona.
La psicanalisi di Jacques Lacan dice che la verità per essere affermata va inscenata.
La maschera, cioè fingere, è in realtà un essere se stessi in maniera amplificata. Persona viene dal latino per-sonar, far risuonare la voce attraverso la maschera usata dagli attori. L'unica finzione autentica è quando fingiamo di fingere.
Shakespeare in As You Like It, del 1600, lo palesa. Rosalinda si traveste da se stessa, facendo apparire una finzione la realtà, per appurare l’amore di Orlando. Infatti Orlando vedendo Rosalinda travestita da se stessa e credendo che fosse il suo amico Ganimede travestito, risponde in tutta tranquillità, confessando ogni segreto, alle domande che la sua donna gli pone. Altro esempio: un Governo neo-liberale si finge conservatore per poter applicare in maniera più "libera" (libera da contestazioni e ostruzionismi) politiche neo-liberali.
Il grande Altro quindi pone una castrazione tra il mio essere e la funzione che esercito per integrarmi a ciò che mi circonda, tra il mio essere me stesso (un essere al di fuori dalla legge e dal senso) e quel mio modo di vivere che mi permette di stare insieme: il grande Altro è come se reincarnasse così la distanza tra la conoscenza di me stesso e la coscienza di me stesso.
Gyorgy Lukacs per spiegare meglio la differenza tra conoscenza e coscienza, nel suo Storia e coscienza di classe distingue le due azioni: la conoscenza è un'azione del soggetto esterna all'oggetto che conosce, la coscienza è un azione del soggetto che presume l'oggetto dall'interno, fino a cambiare la natura del soggetto stesso, quando inizia a percepire se stesso all’interno di un ordine.
Il grande Altro mi permette di essere altro da me, esternalizzo credenze e sentimenti pur non attivandoli, ma questi sono più autentici e veri di quanto presumo, perché in essi scarico il mio subconscio. Vi posso scaricare delle responsabilità.
Guardiamo ad esempio il concetto di "cultura", un sistema di saperi, opinioni, regole, costumi e comportamenti che caratterizzano un gruppo umano e che nel loro insieme definisce i rapporti tra persone all'interno di un determinato gruppo sociale, è l’esempio perfetto di grande Altro, in essa ci scarichiamo proprie posizioni che non vogliamo assumere, possiamo giustificare le nostre azioni attraverso essa: “non sono razzista, ma la cultura in cui sono cresciuto mi ha insegnato che...” la Cultura allora diviene un’entità che ci riguarda, ma è lontana e che pure determina le nostre azioni.
Spesso una verità, per essere affermata, ha bisogno che sia suppositivamente esistita. Perché una credenza funzioni quindi si necessita di un garante, ma questo non deve trovarsi nel presente dev’essere differito, lontano, deve avere una sostanza mitica, ideale alla quale noi possiamo far riferimento. Ecco come una realtà simbolica ha più valore della realtà, perché rimanda altro da noi a cui tendiamo di arrivare e che nel frattempo ci rassicura con la sua esistenza mitica a cui aspiriamo.
Quando un individuo riconduce le motivazioni delle sue azioni ad un ordine impersonale passa dalla qualità di soggetto a quello di oggetto, in nome della propria cultura si operano crimini contro l'umanità e il soggetto diviene strumento del grande Altro.
Hanna Arrendt in La Banalità del male lo ha spiegato benissimo. I criminali del nazismo, del comunismo, del terrorismo hanno delegato la loro identità al grande Altro, una supposta coscienza che pensa al posto loro, cosa sia giusto e cosa sbagliato fare. Viene in mente Hegel: l’Idea assoluta nel dispiegarsi della Storia si serve delle passioni umane per realizzarsi.
Questo grande Altro virtuale è stato introdotto da un altro grande ordine simbolico che lo sorregge: il linguaggio. Il linguaggio è un insieme di simboli che ci permettono di convivere e relazionarci all’altro attraverso le parole. Le parole, come dei simboli, sono delle convenzioni sociali che servono per creare dei nessi, dei punti di contatto tra noi e i nostri interlocutori, l’Altro da noi che ci circonda e la realtà ignota.
La psicanalisi di Jaques Lacan..
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