Al Teatro Studio Keiros in via Padova 38 ( P.zza Bologna) a Roma, ieri poesia e prosa in performance su Dino Campana, la sua vita tra falsi miti e Chimere.
Il reading e messa in opera è stato a cura di Monica Giovinazzi, operatrice culturale, fondatrice e presidente dell’associazione Raabe centro culturale indipendente nel rione Trastevere, dove vengono ospitate performance, laboratori ed esposizioni d'arte.
In un momento
Sono sfiorite le rose I petali caduti Perché non potevo dimenticare le rose Le cercavamo insieme Abbiamo trovato delle rose Erano le sue rose, erano le mie rose Questo viaggio chiamavamo amore Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose Che brillavano un momento al sole del mattino Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi Le rose che non erano le nostre rose Le mie rose le sue rose
E così dimenticammo le rose
(per Sibilla Aleramo)
Dopo aver assistito allo spettacolo, ne faccio umile eco nella mia libera interpretazione sulla storia di cui scrivo e ritrovo, tra Dino Campana e Sibilla Aleramo, la fine.
Quando lui le chiedeva dei suoi amanti e lei gli rispondeva cominciava l'apologetica routine fatta di liti e scenate di gelosia, strilli e urla che terminavano con lo schianto al suolo di Dino, stremato dall'impossibilità di trattenere la rabbia, qualcosa che non poteva controllare, perchè non era in suo potere farlo e lei che lo guardava, desiderando andarsene ma non riuscendolo a fare. Tutti e due innamorati di un amore sbagliato.
Una storia tormentata che alternava dolorosi, malinconici isolamenti e lunghe passeggiate in solitudine, con periodi di furibondi litigi che spaventano chi vi assisteva.
Una storia passata più a spiegarsi che a viverla. E quando un rapporto inizia a prendere quella piega, inizia un loop che avvinghia e che è quasi impossibile uscirne, ne rimani ipnotizzato, perché il dubbio e il segreto ti tormentano.
La rabbia di amare la persona sbagliata.
Erano entrati in quella spirale infernale dalla quale uscirono solamente perché nel gennaio del 1918, a trentatré anni, Dino Campana fu ricoverato nel manicomio di Castel Pulci dove rimase fino alla morte.
Le condizioni della malattia di Dino erano peggiorate, soffriva infatti di una forma di schizofrenia chiamata ebefrenia. Dino era matto.
Una donna pubblicato nel 1906 è il libro più famoso di Sibilla Aleramo, nome d’ arte di Rina Faccio. Aleramo è infatti l’anagramma di “amorale”, così come per anticipare le malelingue che le sarebbero potute correre dietro e come probabilmente fecero si dette: una vita spudorata, di certo destò scandalo, eccentrica fu una scrittrice senza remore, ammirata per la veridicità con cui scrisse la storia della sua adolescenza è divenuta nel tempo uno dei simboli dell'emancipazione femminile, ribelle e trasgressiva.
Abbandonò il marito, il figlio Walter e una vita provinciale che le era incominciata ad andare stretta per seguire il suo cuore.
Nel 1913, a circa ventotto anni, Dino Campana consegnò il manoscritto Il più lungo giorno ad Ardengo Soffici e a Giovanni Papini direttori della rivista Lacerba a Firenze. Non venne però preso in considerazione ed il manoscritto andò perduto; sarà ritrovato solamente sessant'anni dopo, alla morte di Soffici, nella casa di Poggio a Caiano, dove era stato dimenticato.
Campana scrisse molte volte per ricevere risposta ma il responso fu di disprezzo e indifferenza da parte di tutto l'ambiente intellettuale che gravitava a Firenze, intorno al caffè le Giubbe Rosse, esistente ancora oggi e al tempo luogo per letterati e artisti.
Campana riuscì a riscrivere l'opera completamente a memoria e gli dette quel titolo con cui lo conosciamo oggi Canti Orfici. In onore d'Orfeo, poeta delle origini che scese negli Inferi per far tornare in vita l'amata Euridice.
Orfeo impazzì di dolore per la morte della sua amata e scese nell'Ade per cercarla. Al cospetto del suo dolore, anche le creature degli inferi si commossero e decisero di far tornare Euridice nel mondo ma ad una condizione: durante il viaggio verso la terra, Orfeo non doveva mai girarsi a guardarla. Lui purtroppo, preso da un dubbio che lo divorava, si girò e la perse per sempre vedendola morire una seconda volta.
Il libro Campana riuscì a darlo alle stampe con molte difficoltà e nessun successo nel 1914. Il poeta stesso pregava gli amici di comprargli qualche copia o andava per le strade e nei caffè a vendere il libro.
Soffici e Papini sono stati entrambi amanti dell'Aleramo e convinti fascisti: Papini si scagliò nei suoi scritti contro gli ebrei e la democrazia; Soffici firmò Il Manifesto degli intellettuali fascisti, primo documento ideologico redatto da Gentili.
Forse anche per questo Dino Campana fu tanto geloso del passato di Sibilla Aleramo.
Sibilla lo cercava e fuggiva nello stesso tempo, Dino la seguiva ossessivamente nei suoi deliri onirici e psicotici. Morì nel 1932, nell'ospedale dove fu internato, mentre Sibilla continuò a scrivere e a dedicarsi ai suoi giovani amanti fino al giorno della sua morte avvenuta nel 1960. Poi Sibilla smise di cercarlo Dino, ormai non era più in grado né di vivere né di scrivere.
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