“Solo la verità è interessante”
- Józef Mackiewicz -
Il 10 aprile del 2010 l’aereo che trasportava l’allora presidente della Repubblica di Polonia Lech Kaczyński e 95 membri della delegazione ufficiale, comprese alte cariche dello Stato e l'equipaggio, diretto in Russia per commemorare il Massacro di Katyń, precipitava a Smoleńsk, una cittadina poco oltre il confine russo, di 327mila abitanti, a 360 km a sud-est di Mosca e 20 km da Katyń .
L’Istituto Polacco di Roma ha ricordato quel giorno con la proiezione del film Smoleńsk del regista Antoni Krauze, scomparso a febbraio di quest'anno.
La proiezione è stata preceduta dalla presentazione della direttrice dell'Istituto, Agnieszka Bender e con l'intervento introduttivo di Janusz Kotański, Ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede, nonché poeta e storico della Polonia che ha lavorato negli archivi di moltissime città europee per la memoria e le sofferenze del passato: in questa precisa occasione ha ricordato l'intervista condotta con un generale scampato all'eccidio di Katyń, quando il gabinetto del politburo, l'organismo dirigente del PCUS, decise con firma di Stalin, di procedere all'eliminazione di 22mila soldati polacchi prigionieri, di cui 8mila ufficiali.
Il massacro fu compiuto tra il 3 aprile e il 19 maggio 1940, rispondendo alla logica di indebolimento della Polonia appena asservita, si volle così eliminare una parte cospicua della classe dirigente nazionale, nel quadro della spartizione della Polonia, tra Germania nazista ed URSS che fino al giugno 1941 furono legate dal Patto Molotov-Ribbentrop.
I prigionieri furono portati direttamente alle fosse in una foresta vicina, con le mani legate da del filo spinato dietro la schiena e uccisi con un colpo di pistola alla nuca.
Le esecuzioni furono eseguite con pistole Walther PPK (la stessa di James Bond) e munizioni tedesche, in modo da attribuire il massacro ai teutonici.
Dei prigionieri scomparsi, però, non si seppe cosa ne fosse successo fino a tre anni dopo, quando nel 1943 la Wehrmacht, forza armata nazista, su indicazione di alcuni abitanti del luogo, nella foresta, scoprì le fosse comuni, lunghe 28 metri e ampie 16, riempite con dodici strati di uomini.
Solo nell'ottobre del 1990 Michail Gorbačëv porse le scuse ufficiali del suo paese alla Polonia, confermando che l'NKVD, ministero dell'Unione Sovietica, giustiziò i prigionieri.
Ma per la Polonia si è ripetuta un'altra catastrofe, andando a pregiudicare i rapporti diplomatici che si stavano cercando di ricostruire con i russi, proprio nel 2010.
La mattina del 10 aprile del 2010 si schiantava al suolo l’aereo Tupolev Tu-154M, diretto appunto a Katyń per celebrare il 70° anniversario del Massacro, su cui viaggiavano il Presidente della Repubblica, Lech Kaczyński, candidato alle future elezioni e la małżonka prezydenta (first lady) Maria Kaczyńska, ma anche l’ultimo presidente del Governo della Polonia in esilio a Londra, Ryszard Kaczorowski, i vice-marescialli della Camera e del Senato, un gruppo di parlamentari, i comandanti di tutte le forze militari della Repubblica di Polonia, parte del personale della Cancelleria del Presidente, capi di istituzioni statali, rappresentanti del clero, dei vari ministeri, delle organizzazioni di ex-combattenti, nonché l’equipaggio e altri accompagnatori.
I funerali della coppia presidenziale si svolsero il 18 aprile nella Basilica di Santa Maria, chiesa gotica del 1300 che sorge nel centro storico di Cracovia e tumulati nella Cattedrale di Wawel, una collina situata a sud della stessa città, luogo simbolico di un'importanza enorme, qui vi venivano incoronati e sepolti i sovrani, e vi ebbe sede il governo nazionale fino al 1600, quando la capitale fu spostata a Varsavia.
Durante la visita del 6 dicembre del 2010 a Varsavia, il Presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedev, in un colloquio diretto col primo ministro Donald Tusk, annunciò che la restituzione del relitto sarebbe avvenuta entro il primo anniversario della catastrofe. Il 10 aprile di quest’anno, l'altro ieri, è stato celebrato il suo ottavo anniversario, ma il relitto rimane ancora nel territorio della Federazione Russa.
La costruzione del futuro va fondata sulla verità e per questo è così importante.
Gli eventi del 10 aprile del 2010 scossero l’opinione pubblica internazionale, milioni di polacchi nel paese e all'estero si riversarono sulle strade a commemorare la tragedia. Ancora oggi la Polonia attende che le autorità russe restituiscano il relitto dell’aereo governativo e le scatole nere, che permetterebbero di ottenere la verità.
L'incidente è avvolto da una nube di mistero, non è chiaro come dei piloti così esperti, con tante missioni alle spalle, abbiano potuto scendere oltre i 100 metri di sicurezza, addirittura sotto i 50 oppure come una betulla abbia potuto distruggere un ala di un aeroplano, causando la distruzione successiva del resto del velivolo.
Il filo conduttore del film è retto da una bravissima Beata Fido, attrice di teatro polacca che interpreta il ruolo della dziennikarka (giornalista) Nina, che inizialmente non crede ai tanti sospetti e taccia, le vedove che più si oppongono alla versione ufficiale, di complottismo, poi si rende conto, attraverso una serie di strane coincidenze, che queste non potevano essere casuali.
La figura è ispirata a quella protagonista di un altro film L'uomo di marmo del '77, del famoso regista Andrey Wajda.
A distanza di pochi giorni poi vengono trovati morti suicidi un generale dell'esercito, che la sera prima aveva fissato un incontro con Nina per un'intervista e Remigiusz Mus, 42 anni, che si trovava nella cabina di pilotaggio di un altro aereo, decollato da Smolensk, la stessa mattina. Da li’, grazie alla radio di bordo, poté sentire lo scambio di comunicazioni tra la torre di controllo dell’aeroporto russo e l’equipaggio del Tupolev polacco, che stava cercando di atterrare in difficilissime condizioni meteo.
Nella sua testimonianza Remigiusz Mus smentì la commissione d’inchiesta russa per la quale la responsabilità dell’incidente, avvenuto in fase d’atterraggio, sarebbe da imputarsi ai piloti polacchi. Secondo l’ingegner Mus furono invece i controllori di volo russi a non aver dato le coordinate esatte all'aereo presidenziale polacco.
L’uomo che girò la prima ripresa audio del luogo, immediatamente dopo lo schianto, fu trovato assassinato. Ai giornalisti in attesa all'aeroporto invece fu impedito di avvicinarsi all'area e le loro macchine fotografiche furono sequestrate.
Gli impiegati ed i funzionari russi mentirono riportando informazioni che poi si rivelarono false: la scarsa conoscenza della lingua russa da parte dei piloti, le quattro prove di atterraggio che invece risultarono due, il fatto di ignorare le indicazioni di atterrare a Minsk che non ci sono mai state.
Poi si è data la colpa ad un generale, Błasik e della pressione che lui avrebbe esercitato per atterrare. L'Istituto delle Perizie Giudiziarie di Cracovia ha stabilito poi che la voce non era del generale in cabina, come invece era stato trasmesso dalla autorità russe.
Il volo venne inspiegabilmente qualificato come “civile” usando per il chiarimento della catastrofe così la Convenzione di Chicago. Invece di classificarlo come "militare" e far indagare la NATO.
Immediatamente dopo la catastrofe i russi hanno cominciato a distruggere i rottami (senza essere rinvenuta parte dell’aereo, inclusa la cabina di pilotaggio). Inoltre il governo polacco non ha potuto procedere con l’autopsia delle vittime, perché i russi avevano vietato di aprire le bare.
Donald Tusk, allora primo ministro, ora divenuto presidente del Consiglio europeo, avrebbe preso “decisioni sbagliate” rispetto agli interessi della Polonia riguardo la gestione dell'inchiesta. Tanto che le elezioni parlamentari del 2015 hanno visto la vittoria del partito conservatore “Diritto e Giustizia”, guidato da Jaroslaw Kaczynski, fratello gemello del defunto presidente. Evidentemente non soddisfatto dai risultati delle precedenti inchieste, il nuovo governo decise di riaprire le indagini.
Certo è che sembra essere ritornati in clima guerra fredda, e l'Europa se un domani dovesse divenire Stato federale dovrebbe difendere le sue stesse regioni, da ingerenze e dubbi amletici esterni, almeno facendo rispettare, in quanto Europa la sua voce.
Parlando con la direttrice dell'Istituto polacco, Agnieszka Bender, la parte polacca, incontra oggi, ancora una serie di difficoltà nella costruzione di un monumento dedicato alle vittime nel luogo del disastro aereo, al quale l’accesso risulta problematico.
La Polonia considera la protratta detenzione del relitto dell’aereo Tu-154M nel territorio della Federazione Russa, privo di fondamento giuridico. Secondo la parte russa, tali indagini non potranno essere portate a termine fino a quando la procedura non verrà chiusa dalla Polonia, il che è poco probabile nella situazione in cui la Polonia non dispone della prova principale in tale questione, ovvero il relitto stesso.
Inoltre, contrariamente agli accordi bilaterali, nel 2017, l’area su cui è avvenuto l’incidente è stata privatizzata e recintata, il che ne limita il libero accesso per le persone che desiderano offrire omaggio alle vittime del disastro. In connessione con i lavori di costruzione edili, attualmente in corso nell'area suddetta, c’è il timore di una possibile profanazione delle spoglie delle vittime. La parte polacca ha inviato alla Russia una serie di note diplomatiche con cui ha chiesto che vengano abolite tutte le limitazioni d’accesso al luogo del disastro e che la parte russa adempia agli impegni presi relativi alla costruzione di un monumento per le vittime dell’incidente. L’invito della parte polacca dell’aprile del 2016 rivolto agli esperti russi a trovare un punto comune per quanto riguarda la costruzione del monumento è rimasto ad oggi senza risposta.
Chiudo, ricordando che quando nel 2008, la Russia invase la Georgia, per delle questioni interne - stava cercando di riprendersi una sua regione, l'Abkhazia - le truppe russe arrivarono fino a Gori, città natale di Stalin talaltro, a 70 km da Tbilisi; gli unici a recarsi immediatamente a sostegno, nella capitale della Georgia, furono solo cinque presidenti: Estonia Lituania, Lettonia, Polonia e Ucraina e in quel frangente, quando Mikheil Saak'ashvili ex Presidenti della Georgia, chiese l'Europa dov'era, l'ex presidente polacco, Lech Kaczyński, rispose: "siamo noi l'Europa!"
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