Negli stessi anni, alla fine dell'800, in filosofia, da Hobbes e Locke passiamo a Nietzsche e Henri Bergson, i quali tentano di smascherare il mito del progresso positivista.
Nell'arte si sente il bisogno di sapere cosa c'è dietro quella maschera, sentire la necessità del ruggito dell'anima. Si desidera la sintesi tra mondo esterno e spiritualità. L'espressione interiore, la ricerca di felicità è contrapposta al contenuto, che passa in secondo piano, non ha più importanza.
Nel 1886, un artista che aveva passato tutta la sua vita tra i minatori belgi del Borinage, approda a Parigi intriso d'ideali socialisti, fervide letture e una realtà negli occhi: quella delle fabbriche, delle officine e dei campi; vi arriva per trovare altri che come lui sentano questa esigenza di difendere gli ultimi, riscattare le masse, cambiare il mondo. Quando vi giunge è troppo tardi. Parigi è ormai profondamente cambiata. Vincent van Gogh constata come la classe intellettuale non è più politica, intrisa d'ideali e inserita nella società ma è opposta alla società, è fuori. Lo sgomento fu uno spasimo nella sua acuta sensibilità. Era l'ultimo arrivato, la festa realista e quella impressionista giunte alla fine.
Vincent torna di nuovo in campagna, scende in Provenza, deluso, quella rabbia accumulata contro le ingiustizie gli scoppia dentro; a Parigi vi trovò una realtà ipocrita, arresa, vile, che ha scelto di voltarsi dall'altra parte, a fronte delle sofferenze e delle profonde ingiustizie in seno alla società.
Cosa fa un uomo solo, ricolmo di esperienze frustrate? Inizia a deformare la realtà, sempre di più e a violentarla con i colori del sentimento. Usa questi per cercare se stesso, i suoi sentimenti corrisposti. Si getta sulla tela con un'esaltata fame d'amore, vuole possedere la realtà, investirla di emozioni, per farla sua, con tutti i suoi drammi. Van Gogh per primo sente la frattura che inizia a crearsi tra arte e realtà e vi getta un ponte. La motivazione, il contenuto delle sue opere è ancora sociale, politico, realista ma l'espressione con cui lo manifesta è oltre, inizia a raffigurare l'anima delle cose, il sentimento della realtà. Ecco la sua grandezza qual'è stata: quella di essere stato un ponte tra il passato e il futuro della storia dell'arte.
Dalla fine della Scuola di Barbizon e dell'Impressionismo nascono Van Gogh e Gaugain e, sul piano della delusione realista, il movimento dei Nabis, artisti attivi nell'ultimo decennio dell'800, avanguardia post-impressionista che ne conserva poche caratteristiche, per andare a scavare più a fondo nella libertà del colore, con linee più marcate per mettere in risalto le figure.
Si succedono le varie correnti espressioniste, da quella di breve durata dei Fauves (1905-1907) a quella tedesca dei Die Brücke (1905-1913) che, a differenza degli analoghi francesi furono caratterizzati da atteggiamenti politici; fino all'astratto espressionismo lirico dei Der Blaue Reiter (Il cavallo blue) di Kandinskij e Klee a Monaco e l'espressionismo realista d'Otto Dix, Max Beckmann e George Grosz.
Tutto poteva divenire poesia, estremizzazione, metafora. Bisognava far uscire fuori dalle cose il loro significato. Riportare l'anima. Se la realtà storica sulla quale la classe intellettuale s'era formata ma che non sono stati in grado di trasformarla verso un ideale, questa stessa classe riversa il suo bisogno di analisi e trasformazione verso l'interno, l'anima. Sono gli stessi anni che con Freud nasce la psicanalisi. Dall'Ottocento realista e impressionista si passa ad un Novecento espressionista e, per convenzione chiamato, antirealista.
Nella realtà del presente v'è deposto, come un seme in potenza, già il suo futuro.
La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1891
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