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Immigrazione e terrorismo: sfida alla sicurezza europea

Il progetto della ricerca vedrà coinvolti i miei campi d’indagine, l’immigrazione e la globalizzazione, questa volta verterà però sulla politica di sicurezza europea e come essa si potrebbe riflettere sul cambiamento della struttura istituzionale del'Unione.


Abstract:


L’Unione Europea (d’ora in avanti UE), nel contesto della terza era della globalizzazione, vive una profonda crisi istituzionale e politica; all’ombra della crisi migratoria non si è riusciti a promuovere politiche atte ad evitare gli attacchi terroristici nonché l’inasprimento delle tensioni sociali emerse.


Confronteremo questa di oggi con la migrazione passata, del primo e secondo periodo della globalizzazione, all’interno degli Stati nazione, spiegando come fu possibile allora contenerla e garantire contemporaneamente integrazione, mobilità e sicurezza.


Tenteremo, infine, di evidenziare la vulnerabilità della UE oggi, nei confronti del terrorismoislamico: cercheremo di capire se il suddetto dipende dall’immigrazione, dalle politiche di integrazione o dalla politica estera dell’UE nella regione del MENA (Middle East and North Africa).



La ricerca: l’obiettivo, le domande di ricerca e la scelta dei Casi-Studio


Il progetto si propone di comprendere in che misura gli attacchi terroristici siano un problema interno sociale o piuttosto esterno politico tramite lo studio della Politica estera e di sicurezza comune (d’ora in avanti PESC) dell’UE, analizzando come Casi-Studio l’immigrazione e il terrorismo islamico.


Gli assi portanti del presente progetto ruotano intorno alle seguenti parole chiave: con “immigrazione” intendo l’insediamento in UE di carattere temporaneo (l’ONU pone il limite minimo di almeno un anno) o definitivo, in un luogo, di persone extracomunitarie in cerca di lavoro o di miglioramento economico; con il termine “terrorismo islamico” intendo l’insieme di tutte le azioni compiute in nome della religione islamica nell’ambito di lotte armate che non siano intese semplicemente a colpire le forze armate avversarie, ma a diffondere paura, senso di disagio ed insicurezza fra le popolazioni civili, al fine di testimoniare la propria fede.


Le principali sfide che attendono l’UE riguardano la propria capacità di garantire sicurezza, gestione e democratizzazione politica. L’attualità di questa ricerca nasce quindi per capire a fondo i processi che si stanno formando e riflettendo all’interno dell’Unione, per studiare la sua capacità di resilienza nei confronti del terrorismo e dell’immigrazione, come, combinati insieme, possano costituire un’accelerazione al processo di unificazione e di una sempre più stretta collaborazione tra gli Stati dell’Unione, o, come al contrario potranno portare all’implosione del progetto dell’UE.



 Relazioni tra la PESC e i Casi-Studio: l’immigrazione e il terrorismo


Sicurezza viene dal latino se curare –prendersi cura di sé” – e nei tempi moderni è stata associata alla responsabilità dello Stato nazione nella cura dei propri cittadini e l’UE è nata per questo; oltre che per sollevarlaeconomicamente, ma, mentre il Mercato europeo comune (MEC) è stato realizzato, la Comunità europea di difesa (CED) non ancora, preferendo costruire un’alleanza fuori dei confini europei, delegando il compito alla NATO.


Dopo la Guerra Fredda la sicurezza è andata coinvolgendo non più un unico strumento, le forze armate, in mano ad un unico attore, lo Stato, per un’unica difesa, il territorio ma ha riguardato sempre più temi, come l’ambiente, il clima, lo spazio e il cyberspazio, la salute pubblica, la povertà, la stabilità finanziaria e i movimenti di massa come le migrazioni.


Per l’estensione dei temi, la gestione della sicurezza è stata globalizzata e sempre più condivisa con attori non solo statali ma sovranazionali, transnazionali e subnazionali, all’interno di una fitta rete di governancemultilivello.


Infine, la sicurezza, è stata estesa a politiche di tutela dei diritti dell’uomo: si pensi alle missioni di peacemaking, peace-enforcing e peacekeeping.


Al centro di queste azioni e sviluppi c’è stato il concepimento della protezione, non più dello Stato ma dell’individuo (Foradori, Giacomello ‘14); l’UNDP (United Nations Development Programme), nel 1994, ha introdotto il concetto di human security che comprende una sicurezza fisica, economico-sociale, politica-civile e ambientale (Monteleone ‘03).


La tesi vorrebbe indagare il rapporto tra migrazione e fragilità istituzionale. Alcune delle cause delle migrazioni infatti sono proprio l’instabilità e la debolezza degli Stati che non hanno saputo, o potuto, gestire l’immigrazione (e quella potenziale), a fronte delle molteplici minacce poste dalla globalizzazione o dalle crisi politiche ed economiche. Testimonianze di quanto detto possono essere offerte dalla Libia al Sudan, alla Somalia, dall’Iraq, all’Afghanistan e alla Siria. Negli ultimi anni, quando l’immigrazione è cresciuta, l’UE ha messo in evidenza la propria mancanza di governance e le debolezze del suo progetto di costituzione.





La mancanza di gestione dell’immigrazione potrebbe esporre l’UE ad un grosso potenziale rischio, l’insider terrorism. In Europa la gestione frastagliata dell’immigrazione ha sollevato inoltre il problema delle responsabilità degli Stati e del principio della solidarietà interna ai paesi Schengen. Non solo sono state chiuse, momentaneamente, alcune frontiere (Germania, Austria, Croazia, Francia, Svezia e Danimarca) ma alcuni degli Stati membri hanno rifiutato la redistribuzione delle “quote” dei migranti, nell’ottica della solidarietà europea, rifiutando uno dei principi sulla quale s’erge l’UE, quello di solidarietà e collaborazione.

La crisi economica e quella dei migranti, dal 2008, hanno messo in ginocchio l’assembramento strutturale, graduale della UE “a doppia costituzione” (Fabbrini ‘17).


Le istituzioni della parte intergovernativa si sono ritrovate a risolvere problemi che richiedevano scelte efficaci e tempi rapidi, che il processo dell’unanimità delle decisioni non permette. Quando questa situazione è andata combinandosi con l’insicurezza messa in evidenza dagli attacchi terroristici, la sua disintegrazione è entrata per la prima volta nell’agenda pubblica europea (Zielonka, ‘15).


Le rotte migratorie e le immigrazioni sono state una costante nella storia dell’uomo, quello che distingue quest’epoca è il suo carattere globale: il restringimento degli spazi, la facilità degli spostamenti, la tecnologia più avanzata ed una circolazione delle informazioni istantanea.


La natura dell’immigrazione, oggi, così coinvolge ed influenza sempre più Stati e regioni del mondo, avendo delle ripercussioni su processi complessi che alterano le idee, le politiche e le economie, intensificando le connessioni e le influenze tra società, tradizioni e culture diverse.


L’aumento e la diversificazione della popolazione, per effetto dell’immigrazione, in un Paese, rappresenta comunque una problematica di non poco conto a livello sociale, economico e politico, eppure, ad oggi, la migrazione è l’aspetto più importante dell’economia politica internazionale a non essere protetto da un regime globale di cooperazione e governance, come avviene per la finanza (con l’FMI e la Banca Mondiale) e il commercio (con il WTO) (Castles e Miller ‘12).


Nell’UE la politica d’immigrazione è affidata alla PESC e continua a funzionare secondo il metodo intergovernativo, dunque, la Commissione europea e il Parlamento hanno poteri molto limitati in questo ambito. La PESC ha uno spettro d’azione ampio, al punto che coinvolge diverse politiche che trattano aspetti differenti: analizzeremo la sua politica multilaterale, regionale e bilaterale connessa al fenomeno dell’immigrazione, e, quella di sicurezza e difesa comune (PSDC), considerato l’elemento più significativo della PESC (Lang e Mariani ‘14).


Il fenomeno che ha aperto la più grossa ferita all’interno dell’Unione Europea, incrinando il suo sistema d’intelligence e sicurezza, e per metonimia politica l’esistenza stessa dell’UE è il terrorismo di matrice islamica in connessione con la crisi economica globale.


La propaganda delle organizzazioni islamiste contro l’Occidente sta destabilizzando l’equilibrio geopolitico internazionale post-guerra fredda, in quanto, oltre che compromettere il processo d’integrazione Europea, ha contribuito alla Brexit e alla svolta di ripiegamento isolazionista di Trump. Sta quindi dettando per certi versi l’agenda politica globale.


Nell’UE i migranti islamici non sono stati presi in considerazione come un pericolo fino al successo della Rivoluzione di Khomeini in Iran nel 1979. Molti Stati arabi iniziarono a sentirsi minacciati dal fondamentalismo e additati come nemici, nel caso in cui attuavano delle riforme di tipo secolare. Questo portò un alto numero di rifugiati, le guerre d’invasione in Medio Oriente che contribuirono a rendere instabile l’area e al nascere di organizzazioni internazionali terroristiche (Roy ‘03).


Dall’invasione dell’Iraq del 2003 moltissimi musulmani europei, inoltre, si sono offerti volontari per combattere in patria. Sin dopo gli attentati terroristici del 2001 negli Stati Uniti e in Europa il terrorismo islamista, l’immigrazione e la politica di sicurezza sono divenuti fenomeni intensamente intrecciati, un tema ricorrente nei media e al centro dei programmi dei partiti politici.


Cercheremo di capire se le organizzazioni terroristiche e il radicamento islamico-terrorista in Europa possano essere contrastati in maniera diversa: le prime come problema politico e il secondo come problema sociale di pertinenza politica. Quindi se l’immigrazione o il fallimento delle politiche d’integrazione siano la causa del radicamento terrorista e come siano intrecciati eventualmente, e se questo quadro generale dipenda anche da un assetto istituzionale antiquato.




La natura degli attacchi in UE (come negli USA) non sono stati effettuati da altri Stati, ma da organizzazioni non statali, internazionali. Perpetrati da persone e cittadini con origini e cultura araba e di religione musulmana ma, nella più grande maggioranza dei casi, cittadini europei. Le loro marginalità esistenziali. La crisi intima della “doppia assenza” (Sayad ‘02). Questa sorte la equiparano alla stessa che subiscono tutti i musulmani nei paesi d’origine, perpetrata dagli americani e i loro alleati, fino ad identificarsi perciò in una guerra globale (Ramadan ‘15).


Le motivazioni, le modalità, i canali delle associazioni terroristiche si sviluppano grazie al canale d’accesso di quelle criminali. Le organizzazioni terroristiche possono essere partner, nemici o clienti di queste ultime (Valigi ‘14). Se le organizzazioni non statali terroristiche, a scopo politico, hanno delle richieste e le organizzazioni terroristiche criminali hanno invece delle finalità più economiche, non si può escludere che possano sostenersi a vicenda (Cassese ‘06). Gli attori non statali sono così sempre più rilevanti nel contesto, rivestono una fonte di incertezza non irrilevante: prendiamo nella fattispecie il caso di enti o organizzazioni private che svolgono, nel campo dell’immigrazione, il ruolo di suppliers, middleman o end-users, illegali o legali che siano, tacitamente oppure in accordo ad agire con il governo di uno Stato (Foradori, Giacomello ‘14).


Oggi, gli Stati si trovano davanti nemici che non sono altri Stati, con i quali negoziare o minacciare ritorsioni, ma nemici transnazionali dove la deterrenza ha poco esito, quando è pronto al martirio o quando, come una metastasi, è dentro l’organismo stesso che vuole combattere, il nemico è capace potenzialmente di distruggere in quanto è molto difficile da individuare (Longo ‘14).


Lo scontro è interno ai paesi sia del MENA che europei e questo ci porterà al bisogno necessario di una UE sempre più stretta e coesa, e, nella tesi, al graduale ridursi del potere dello Stato nazione che non è in grado di avere un servizio d’intelligence unico e una politica estera e interna univoca.


I problemi che sono oggi in Europa, allora, nascono, come ritengono alcuni, da politiche sbagliate di integrazione che hanno creato dei ghetti nelle periferie delle grandi città? O piuttosto dall’immigrazione incontrollata? L’inclinazione del mondo moderno a divenire sempre più multietnico, multiculturale e gestito da organismi sovranazionali, è un pericolo? Tornare a modelli sovranisti nazionali, come nel passato, sarebbe la soluzione? Come farà l’UE a difendere i propri confini, facendoli rimanere includenti ma non porosi? Come difenderà l’Europa i suoi valori fondanti, dalla discriminazione alla xenofobia, dalla violenza alla crisi della politica e alla mancanza di fiducia dei cittadini nelle istituzioni? Le carenze istituzionali che ha mostrato la UE, hanno compromesso la propria immagine all’esterno, fondata sul rispetto dei fondamentali diritti umani, nella gestione dei conflitti e dei migranti (Ceccorulli ‘14)? La coscienza globale sui diritti umani e sui valori della democrazia reggeranno (Shaw ‘00)?


Pier Paolo Piscopo

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