Sono un ex operatore sociale di un dormitorio per migranti a Trieste, Durante i due lockdown ho sempre lavorato.. La notte mi affacciavo alle finestre svettanti sulle strade deserte della città e avevo tempo per pensare. Pensare a come stesse cambiando il mondo e mi sono detto: siamo già nel post pandemia!
Sicuramente il mondo del lavoro, alcuni servizi, l’università, le amministrazioni, hanno visto che il loro impegno da remoto non solo non ne vince la qualità ma la può migliorare.
Nei primi mesi della pandemia c’è stato uno sbandierato sentimento popolare, voluto enfatizzare dai media, concernente la scoperta del valore che hanno i rapporti umani, ci si sentiva più fratelli, solidali, vicini, si diceva, ma questo poi non è stato, tutto è tornato come prima, a riprova del fatto che i rapporti umani sono l’aspetto più difficile da gestire e migliorare nella vita.
La pandemia ha ridisegnato alleanze, confini politici, rapporti tra Stati; ha messo in risalto fragilità, inefficienze e ritardi del sistema, molte volte l’inefficacia delle autonomie regionali, evidenziando il bisogno di competenza nella gestione della cosa pubblica e la necessità di un pensiero politico a lungo termine. Banalmente, quando la gente inizia a morire a grappoli, la sanità pubblica e la ricerca fanno comodo di qualità e sovvenzionate. Economicamente il nostro Paese non è fallito e per uno Stato colpito dal virus come è stato il nostro, ciò fa pensare, il gettito maggiore del PIL, infatti, lo abbiamo dal turismo e dalla ristorazione, i settori più colpiti, questo vuol dire che l’Italia ha retto e bene.
L’evidente indebolimento dei ceti medi è stato allarmante nel post-pandemia ma è già in corso da tempo e se i partiti sono impegnati a farsi la guerra tra loro non è semplice, come scriveva Tito Livio “la guerra alimenta se stessa”. La scelta di eleggere Draghi è stata dettata dalla consapevolezza evidente tra le forze partitiche in campo. Mentre istituzioni litigiose diffondevano un senso di sfiducia e sbandamento, l’esperienza e la fermezza di Mattarella sono state fondamentali.
Il Governo, l’alleanza giallo-rosso del Conte 2, non è caduto per il Covid19, come è successo per Trump, ma per il lucido disegno strategico di Renzi. La scelta di Draghi ha avuto due conseguenze importanti: il quasi annientamento dei facinorosi nazionalismi e la sempre più visibile riduzione della funzione parlamentare della nostra Repubblica a quella di passacarte. Il Parlamento ha sempre meno potere e in una democrazia parlamentare è per lo meno bizzarro.
L’alternativa politica all’ingerenza dell’Europa è stata l’egemonia politico-economica dei grandi player mondiali, i quali si sono affermati, durante la pandemia, con un aumento esponenziale del loro fatturato: Google e Amazon in primis. La rete influenza il pensiero e alcune multinazionali dispongono del monopolio della rete. Se controlli la rete, controlli l’economia, ma la crescente capacità che hanno avuto i mercati nel personalizzare il consumo, già prima della pandemia, ha dettato una tendenza a separare i rapporti umani dai beni di consumo. Il bene relazionale è sempre più usufruito online, una forma di consumo individuale.
Il PIL quantifica ciò che si produce ma non tiene conto di ciò che si distrugge per produrlo. Sto parlando della felicità, non dell’obbligo di divertirci a cui siamo sottoposti dal capitalismo, che è ben diverso e nel post-pandemia lè stato palese.
Statisticamente sono più felici le persone nei Paesi poveri che nei Paesi ricchi; le persone nel dopoguerra, piuttosto che quelle di oggi, eppure oggi possediamo molti più beni di allora, ma non quelli relazionali; questo è un paradosso, che ha preso il nome omonimo di chi lo ha notato, un professore di Economia nel 1974, Richard Easterlin. Se rifornisci la fascia più povera della società di beni materiali questi sono più felici ma superato un certo punto la felicità è composta di altro, altro che non riguarda i beni materiali.
Gli economisti non fanno distinzione tra divertimento e felicità, i beni materiali appartengono al primo aspetto, le relazioni del secondo, queste ultime hanno un peso rilevante nella stima del benessere delle persone. Che cos’è la felicità quindi? I filosofi rispondono a domande come questa. Martha Nussbaum, in Sesso e giustizia sociale, ha scritto che “la felicità è soddisfazione e la soddisfazione è basata dalla qualità delle nostre relazioni umane e”, continua, “una buona relazione è basata sulla reciprocità, per questo non è possibile controllarla né quantificarla, la relazione nasce dallo scambio”.
Conoscere di cosa è fatta la materia umana, si sta rilevando, per il prossimo futuro, sempre più necessario, senza criticarla né giudicarla, ci accorgeremmo, se potessimo misurare la felicità, che le persone che riteniamo a priori felici e soddisfatte, perché hanno un buon lavoro o conducono una vita di successo, non è detto che siano più felici! Ovviamente la domanda è provocatoria, forse, però, può fornire degli spunti di riflessione.
Perché siamo arrivati al punto di non poter più fare progetti, di sognare, di avere paura di amare? Siamo persi in una giungla di cemento, esiliati da noi stessi, dalla nostra intimità e sensibilità, non guardiamo più chi siamo, tesi a confermare di essere ogni giorno all’altezza di essere umani. Abbiamo perso la capacità di guardare un tramonto, di piangere di fronte ad un fiore o al volo di un gabbiano.
Si dice che la civiltà sia il dominio dell’uomo sulla Natura ma quanto siamo più sottomessi ora all’universo di quanto lo eravamo prima, quando ci alleavamo con Essa al ritmo delle sue stagioni!
Rivendichiamo la nostra libertà e la strilliamo negli stadi e nei concerti, in un mondo fatto di segnaletiche stradali, di programmi televisivi che ci impongono uno standard di cammino a cui equiparare il nostro. “Reclamiamo la nostra libertà” scriveva Sartre “senza avere la più pallida idea di cosa comporti”.
Le reti d’inclusione sociale, come quelle messe in piedi dalla Comunità per la quale lavoravo, durante e nel post-pandemia si sono rivelate dei grandi antidoti all’emarginazione e alla solitudine. Le Comunità fanno delle relazioni umane il loro bene insostituibile.
Durante la pandemia allora chi lavora con la sofferenza, il disagio è dovuto cambiare, per stare al passo con i tempi ma senza mai aver paura di pronunciare la parola “dolore”, che nelle altre sfere della società resta un tabù. Reggere il cambiamento significa poggiare il proprio lavoro sul valore umano delle persone e riflette in ogni proprio rapporto lo spirito umano che ci contraddistingue, di cui questo mondo ha un gran bisogno, ha bisogno di più Umanità.
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