In occasione del centenario della nascita del regista lituano Jonas Mekas, a Roma ci sono eventi che ne ricordano la memoria.
La memoria è un po' l'anima di una cosa, quel che ne rimane, la sua essenza.
Al Mattatoio di Roma fino al 26 febbraio è in corso la retrospettiva Images Are Real, citazione tratta dal film Out takes From the Life of Happy Man, che lega insieme tutta la produzione artistica del regista.
Bighellonando si scoprono delle sintesi incredibili, come una farfalla cerca di riposarsi su qualche bel fiore appena schiuso e dissetarsi dall'ignoranza. E così...negli spazi del MACRO ha avuto luogo la performance Letters to Jonas Mekas (proiezione, reading e talk) in tributo al regista, dove artisti d'avanguardia, della nuova scena lituana, legati ai collettivi Autarkia e Syndicate, hanno onorato il loro legame intellettuale con Mekas, elaborando un genere cui l’artista era dedito: quello della video-lettera.
Camminando, con la sguardo senza un luogo fisso su cui poggiarsi, ci si può imbattere in nuvole di occasioni, che mutano forma alla nostra esperienza in speciali d'occorrenza uniche di bellezza!
Venerdì è stato proiettato nel magnifico Teatro Tordinona il film As I was Moving Ahead Occasionally I saw Brief Glimpses of Beauty.
Il teatro sorse nel 1670 per volere della sovrana Cristina di Svezia sul Lungotevere omonimo, di cui prese il nome per un’antica torre che ivi sorgeva, come serbatoio del grano: turris de annona (dal annus - il raccolto dell'anno). Nel 1888 poi i lavori per la costruzione degli argini del Tevere, le cui continue inondazioni minavano la sicurezza della città, resero necessaria la demolizione del teatro e la sua ricostruzione adiacente nel 1930 in Via degli Acquasparta.
La bellezza, siamo consapevoli, disorienta: quando la conosci riformuli lo sguardo, non più in lotta e malinconico, perché estraneo, ma gaudente!
La farfalla, sorvolate foreste e boschi immensi, laghi smeraldo e pianure mozzafiato, lagune che ricordano il mare, dune altissime e una luna grigia che si confonde col mare, là dove cade, geograficamente, il centro dell’Europa (intesa come regione dall’Atlantico agli Urali): 54°54’ di latitudine, 25°19’ di longitudine, è venuta tra noi a portarci un messaggio famigliare.
Uno scorcio intimo della vita di 30 anni di riprese quello del film. Disincantato, ozioso vaga, senza urgenza, come avesse al guinzaglio una tartaruga e al polso quella farfalla, provando emozioni nell'osservare, lettore affascinato dei contesti quotidiani prodotti dalla vita moderna.
La visione è stata possibile nella retrospettiva dei film lituani, organizzata dall’Ambasciata della Repubblica di Lituania e dall’associazione culturale FILMSTUDIO in occasione del 700° anniversario della nascita della Città di Vilnius.
Vilnius è una capitale barocca, il cui centro storico è Patrimonio dell’UNESCO dal 1994,
le più antiche testimonianze fanno risalire l’insediamento urbano al 1323 e da allora è stata crocevia di tribù slave, ebrei, polacchi che ne diedero grande splendore nel '500, ruteni, bielorussi e russi. Lo sterminio degli ebrei durante la guerra da parte tedesca e successivamente, nel dopoguerra, l'espulsione dei polacchi, il trasferimento in città di molti contadini lituani e l'immigrazione dalle altre repubbliche sovietiche diede luogo a un vero e proprio cambiamento di popolazione, cultura e tradizioni.
Poi il 23 agosto 1989, quando nelle allora Repubbliche Socialiste Sovietiche (RSS) si celebrava l'anniversario del patto Molotov-Ribbentrop, tra l'Unione Sovietica e la Germania nazista, per la divisione dell’Europa dell’Est; partendo da una piastrella, la stebuklas (miracolo), nel piazzale della Cattedrale di Vilnius, passando per Riga e arrivando a Tallin, due milioni di persone si tennero per mano, formando una catena umana lunga 700 km, la Baltijos kelias, la Catena baltica. I manifestanti si tennero le mani pacificamente per 15 minuti alle 19:00.
L’evento fu aggiunto al registro della Memoria del mondo dell'UNESCO come evento che ha costruito la Storia,
evento che rientra nell’autunno delle nazioni, le rivoluzioni dell’89 nei Paesi comunisti dell'Europa orientale. Nel giro di sette mesi dalla protesta, la Lituania fu la prima delle repubbliche sovietiche a proclamare l'indipendenza.
"Han fatto i soldi, quindi valgono". Il sistema valoriale che abbiamo è pressapoco questo. Ci sono però alcune persone che non sono toccate da queste “credenze".
Jonas Mekas, è stato un regista, nato in Lithuania nel 1922, che ha immortalato e realizzato film con lo scopo di catturare il quotidiano, la vita che diveniva il materiale unico da cui trarre ispirazione, senza pensare agli spettatori come biglietti paganti.
Durante la seconda guerra mondiale, quando la Lituania venne occupata dai tedeschi, fu deportato in un campo di lavori forzati nazista e poi, alla fine della guerra, internato in un campo per persone sfollate in Germania, dove studiò filosofia all'Università di Magonza, poi nel 1949 l’ UNHCR gli permise di andare a New York, dove divenne regista.
Negli anni Mekas fa scelte sempre più radicali e promuove la proiezione regolare di pellicole sperimentali e d’avanguardia, cui condivideva il rifiuto drastico di stili e strategie commerciali.
È Mekas che influenza la cifra stilistica di Warhol, che sfrutta la dilatazione temporale, la ripetizione e la semplificazione estrema degli elementi visivi (un’unica sequenza statica di otto ore dell’Empire State Building, un uomo che dorme per sei ore, etc.)
"Non faccio film sperimentali. Nessuno li fa! FACCIO solo film. E questo non ha nulla a che fare con una “iniziativa culturale” o “produzione”, o la legittimazione! Siamo poeti del cinema e non possiamo essere in alcun altro modo e non abbiamo bisogno di riconoscimento o legittimazione."
Mekas era intenzionato a non far morire il passato, per capirlo cercava di riproporlo, per questo l'ombra del passato rivive nel suo lavoro di cucito con il presente;
Mekas in quanto esiliato geografico, psichico e linguistico si è fatto portavoce di una generazione intera di emigrati, fino a diventare una delle più importante figure di riferimento di tutta la scena cinefila underground statunitense.
Le sue opere sono caratterizzate da riprese di breve durata, slegate contenutisticamente le une dalle altre, girate con diverse velocità, usando la tecnica del single frame, una registrazione di un’immagine a non più di un fotogramma al secondo, invece di 24.
“Non evito Hollywood: sono loro che evitano me. Non hanno bisogno di me. Inoltre la realtà che mi interessa come il contenuto del mio cinema, non esiste a Hollywood, è un posto sbagliato per cercarla. Il contenuto del mio cinema è la vita, la vita intorno a me.”
La scelta, oltre a porre lo spettatore come estraneo alla vita quotidiana, ne aggiunge delle distorsioni nel colore e nella messa a fuoco, sovrimpressioni e continui movimenti che annullando la dimensione dei sensi,
l’immagine diviene l’unica protagonista, dove nella sua riproduzione, schiacca l’uomo moderno, vittima di scelte estranee, prevalendo le verità profonde della quotidianità della vita intima degli altri.
I tagli improvvisi e soprattutto l’assenza di una struttura narrativa ci fanno venire in mente le storie o i reel su Instagram, il racconto degli eventi personali e quotidiani che domina sulle grandi narrazioni.
La farfalla non conta gli anni, ma i colori dei petali sui fiori su cui si posa, per questo il suo breve tempo le basta, non come al cyberflâneur che si muove senza una meta precisa nella virtualità delle pagine di vita degli altri.
As I was Moving Ahead Occasionally I saw Brief Glimpses of Beauty:
di Pier Paolo Piscopo
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