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Ribellarsi non basta. I subalterni e l’organizzazione necessaria

Aggiornamento: 17 feb 2023

Nella sede di FILT CGIL, a Piazza Vittorio Emanuele, a Roma, c’è stata la presentazione del libro di Fulvio Lorefice Ribellarsi non basta… sull’utilità della forma partito che nel Novecento ha smarrito il tener saldo e compatto il tessuto sociale, senza essere più il collettore tra società e istituzioni, soprattutto delle classi più povere, e le classi lavoratrici, dei gradini più bassi della società, gradualmente, non hanno avuto più rappresentanza.


Sono intervenuti: Maurizio Acerbo, Fabrizio Barca e Maurizio Landini. La conferenza è stata introdotta e moderata da Fabio De Mattia.


I partiti da organizzazioni di massa rappresentanti le varie fasce della popolazione sono divenuti ceti privilegiati d’élite e nominati, invischiati in giochi di potere.


Quando invece avevano il compito, come scriveva Gramsci, d’incanalare la spontaneità, le richieste e le istanze delle classi sociali in Parlamento.


Il riferimento è alla classe dirigenziale, ai partiti leggeri e alla società fluida e nella dialettica critica, Fulvio, abbraccia anche i sindacati che non riescono a coinvolgere i settori del precariato più basso, non quello del ceto borghese-intellettuale, appartenente ai figli dei quadri del sindacato, ma il mondo del lavoro della fabbrica, del precariato non specializzato, dell’agricoltura e della manovalanza che oggi, come mai nella storia, non è mai stato così diviso, parcellizzato e in competizione: settore contro settore, azienda contro azienda, uomo contro uomo, donna contro donna, donna contro uomo.


Già negli anni ’70 l’attivista Saul Alinsky, noto per la sua attività di organizzatore di comunità e autore del volume Rules for Radicals, descriveva la società americana come divisa in tre fasce: quelli che hanno, quelli che non hanno e quelli che hanno poco e vorrebbero di più.


Oggi i sindacati confederati negli USA non esistono e ogni azienda ha la sua propria protezione sindacale, e verso questa prospettiva anche la nostra società si sta dirigendo: non c’è un’idea di società diversa.




La sinistra è vista come parte del problema, ha esaurito la sua forza propulsiva che poteva scardinare le classi alte, nel risolvere i problemi legati al mercato del lavoro sfruttato e così ha lasciato che i modelli d’impresa rispondono a visioni gerarchiche e autoritarie di gestione che si riflettono delle dinamiche dei rapporti sociali tra le persone nella società.


Aumentato il dumping sociale, manca un’unità sociale di riferimento delle persone nel mondo del lavoro, di costruzione di una cultura politica che le possa proteggere.


Infatti il mancato rispetto delle leggi in materia di sicurezza, diritti del lavoratore e tutela ambientale, consente a un’impresa di ridurre i costi di produzione e quindi di vendere le proprie merci a prezzi molto più bassi di quelli di mercato, ma scatenando l’abbassamento dei salari.


Una logica di sistema e una cultura politica che comprendesse il mondo del lavoro oggi capirebbe, e strutturerebbe di conseguenza il suo operato, che il problema non è più nel prodotto che non viene consumato ma nel modo in cui quel prodotto si usa: legato a quali dinamiche di mobilità, ambientale, economico-globali, in quale visione del futuro quel prodotto andrà inscritto e consumato?


In una società che cambia i suoi connotati tecnologici e sociali a dei ritmi sempre più veloci la classe intellettuale non racconta più alla politica il mondo che dovrebbe rappresentare ma, come viene scritto nel libro, “vive, aspettando solo la chiamata”.

In questo mondo i subalterni sono divisi e disgregati gli uni dagli altri, senza più fare massa critica e di peso politico quindi non se ne parla!


La faglia sociale è divenuta faglia territoriale, sta allargando ancora di più la distanza di potere economico e capitale culturale tra città e campagna, centro e periferia, lasciando ai margini i poveri lottare contro i più poveri.


Quelle stesse fasce d’elettorato che non provano ribellione ma si rifugiano in un astensionismo sempre più alto e in rabbia, in richieste stringenti di aumento d’autorità, muri, segregazioni, ritorno di stati nazione, leggi esclusiviste e differenziazioni di razza e nazionalità.


Purtroppo questo è un risultato storico di grandi cambiamenti economici ma anche di dialettica comune: è passato il messaggio che il conflitto capitale-lavoro non è mai esistito.


E le fasce deboli hanno spostato la loro intenzione di lotta per cercarne un’altra, quando il divario economico, la sperequazione di classe e le pazzesche ingiustizie economiche si interpretano come consuete o peggio normali, il nemico diviene l’altro, chiunque altro, anche il tuo vicino di casa perché è un tuo competitor.


Di fronte ad un popolo che non esiste più ma è diviso e balcanizzato il compito di un partito oggi è ricostruire i rituali dell’essere umano, i luoghi dello “stare insieme”.

Il conflitto sociale e la solidarietà sono da ricucire insieme e ritornare all’umano.

Lorefice questo ci racconta nel libro, le forme d’organizzazione e rappresentanza questo devono fare.




Pier Paolo Piscopo

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